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La voce di Elisabetta

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La voce di Elisabetta

Nove ore di interrogatorio per Filippo Turetta. Ha ammesso di avere accoltellato Giulia, di averla vista morire, di aver nascosto il cadavere. Ma non sa cosa gli è scattato nella testa quella sera. Non lo sa se era uscito con l’intenzione di ammazzarla oppure no. Non ricorda tante cose, tanti particolari sfuggono alla sua memoria.

Intanto, dall’autopsia emerge che Giulia è stata accoltellata più di trenta volte, la maggior parte delle quali alla testa e al collo, e che la coltellata fatale è stata quella che ha reciso un’aorta e l’ha fatta morire dissanguata.

Un delitto efferato, caratterizzato da disumanità e con elevata pericolosità sociale dell’indagato, come ha scritto il giudice per le indagini preliminari nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere.

Eppure, non è detto che la pena sarà grave quanto comunemente si potrebbe pensare.

Intanto, non basta la confessione per essere condannati all’ergastolo. Anzi, in assenza di aggravanti come la premeditazione e la crudeltà, ammettere ciò che si ha fatto può anche comportare uno sconto di pena. Sempre che dalle indagini emerga che le cose sono andate come raccontate da Turetta. Perché la confessione non esime dall’obbligo di celebrare il processo. E per contestare e riconoscere la premeditazione serve un lasso di tempo ragionevolmente lungo tra l’idea di commettere un crimine e la sua realizzazione, sennò si rientra nella preordinazione che nulla ha a che vedere con quell’aggravante così pesante da rendere un omicidio punibile con l’ergastolo. E la stessa crudeltà, per esserci richiede che l’autore del reato abbia inflitto volontariamente alla vittima una sofferenza in più e inutile al raggiungimento dello scopo. E se mancano quelle aggravanti, l’imputato può accedere al rito abbreviato che gli garantisce lo sconto di pena automatico di un terzo.

Per non parlare della lucidità di Turetta: siamo sicuri che non ci fosse un barlume di infermità quando (e se) ha commesso l’omicidio?

Infine, di non poco conto è il principio basilare di presunzione di innocenza fino a sentenza passata in giudicato, che protegge tutti, anche quelli colti in flagranza di reato o gravemente indiziati e rei confessi come Turetta.

Come potete capire, i fatti così come li leggiamo e come si sono probabilmente svolti, gravissimi nella sostanza, potrebbero non essere altrettanto “gravi” per le norme del processo penale.

Perché un conto è la realtà sostanziale, un conto la verità processuale. Spesso, molto diverse tra di loro.

E a chi chiede cosa bisogna fare, in Italia, per essere condannati all’ergastolo, dico che la risposta giusta è cosa si dimostra nel processo, che rileva. Il resto, sono e rimangono chiacchiere.

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