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La voce di Elisabetta A.

novaracapitale

La retorica del “tanto anche i ‘nostri’ delinquono” non la tollero (più).

È ovvio che anche tra gli italiani ci sono dei criminali. Perché sì, chi commette un crimine questo è. Non è una persona che sbaglia, che inciampa, che ha commesso un errore. Chi con coscienza e volontà vìola la legge penale causando danni al prossimo è un criminale. E spesso lo rimane per tutta la vita. Il 62% dei detenuti nelle carceri è pluri pregiudicato. Il che significa che è stato condannato, nel corso degli anni, più e più volte, per lo stesso reato o reati diversi. E significa pure che le varie pene non hanno avuto né efficacia deterrente né riabilitativa, perché quando ha finito di scontarle ha ricominciato a commettere reati, come e più di prima.

Se poi il delinquente è uno straniero, il problema è ancora peggiore. Perché spesso non ha, in Italia, una rete familiare che possa aiutarlo, parla male la nostra lingua, non riconosce le nostre leggi. Magari proviene da posti in cui per il furto di una mela tagliano una mano, e non gli sembra vero di poter rubare una, due, dieci volte prima di vedersi aprire le porte di una cella, in cui comunque ha tre pasti caldi al giorno, un letto su cui dormire e la possibilità di giocare a carte o guardare la tv indisturbato, senza che nessuno pretenda che impari il rispetto delle regole e prenda coscienza del disvalore morale e giuridico delle sue azioni.

Ogni società “civile” e “sana” porta con sé una percentuale di criminalità. Ma quella società deve essere in grado di contenere il livello di delinquenza per fare in modo che la sicurezza sociale non sia messa in pericolo, e deve adoperarsi affinché i delinquenti violenti e pericolosi siano messi nelle condizioni di non nuocere ulteriormente, con pene adeguatamente afflittive e riabilitative.

In Italia da troppo tempo abbiamo questa visione distorta e dannosa del criminale come vittima di una società ingiusta che lo ha emarginato, come ultimo fra gli ultimi da capire e aiutare, nonostante i danni causati a quella società che invece di punirlo si auto colpevolizza per i reati che la colpiscono. È un po’ come il concetto di vittimizzazione secondaria: si dà alla vittima la colpa del reato sessuale subìto, perché se fosse stata vestita diversamente o se non si fosse trovata da sola di notte non sarebbe stata violentata.

Questo, siamo noi oggi. Tutti oggetto di tale vittimizzazione, resi colpevoli dei delitti commessi da individui che, in realtà, sono delinquenti perché la strada del crimine è più semplice, perché di rispettare le regole non ne vogliono sapere, o perché tali erano le loro famiglie o essi stessi ancora prima di arrivare in Italia (nel caso degli stranieri).

Non serve cambiare le leggi, se non cambiamo la mentalità e l’approccio politico (in senso lato) con cui da decenni affrontiamo il problema, enorme e ormai metastatico, della delinquenza. Ma ci vuole il coraggio di dirle, le cose. E soprattutto, di farle.

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